Da Partanna a Vita

Sulle tracce del passato tra antichi castelli e il fascino dei Gattopardi

Un itinerario particolare quello proposto da Visit Belìce, che si muove sul filo della memoria e della fascinazione di un mondo antico. Tra antichi fasti, battaglie epocali, tristi fenomeni criminali e testimonianze della forza distruttrice della natura, un viaggio emozionate che riporta alla luce storie che sembravano dimenticate per sempre.

Come quella della Casa rabbinica e dei resti della sinagoga di CALTABELLOTTA, aperti per la prima volta al pubblico dopo anni di oblio, grazie al Borghi dei Tesori Fest. Si tratta di una testimonianza importante dell’antica storia del borgo, dove fino al XV secolo viveva una delle più numerose comunità di ebrei d’Italia. Imparentati con gli ebrei di Sciacca, con i quali costituivano un unicum, i circa quattrocento ebrei di Caltabellotta erano intellettuali, medici, aromatari come si chiamavano allora i farmacisti, maestri di scuola, banchieri, artigiani, proprietari terrieri, ma anche contadini, allevatori, conciatori e commercianti dei prodotti della terra e dell’allevamento. Da Sciacca, le loro derrate arrivano in ogni località della Sicilia e del Mediterraneo, fino alle Fiandre e in Inghilterra.

SALAPARUTA. Nato all’inizio del primo millennio dopo Cristo, il borgo è stato uno dei primi insediamenti arabi della zona; era chiamato Menzil Salh, ovvero “Il Casale della Signora”. Nel XV secolo divenne feudo dei Paruta da cui deriva l’attuale nome, frutto dell’unione di “sala” che in normanno significa “casa”, e del nome del nobile casato. Oggi, nel vecchio centro abitato distrutto dal sisma del ’68, i ruderi del Castello dei Paruta che esisteva già nel medioevo quando era soltanto una torre, emergono tra le rovine. A essere distrutta quasi del tutto dalle scosse del terremoto, fu anche la seicentesca Chiesa Madre con la facciata barocca che emulava quella della Chiesa del Purgatorio di Trapani. La preziosa statua di Santa Caterina custodita al suo interno e attribuita allo scultore toscano Bartolomeo Berrettaro, fu recuperata tra le macerie e oggi si trova nella nuova chiesa madre.

PARTANNA. Nel suo cuore più antico, il borgo ha tutto il fascino medievale del castello intorno al quale si è sviluppato. Un tesoro nel tesoro, prezioso scrigno dei reperti più significativi che raccontano la Preistoria di questo territorio unico. Dal 2007, infatti, nel Castello Grifeo – uno dei castelli medievali della Sicilia occidentale meglio conservati – si trova il Museo regionale di Preistoria del Belice e Centro di interpretazione e valorizzazione territoriale. Tra i reperti di sicuro effetto, ce n’è uno assolutamente unico: il cranio trapanato di un uomo vissuto nell’Età del Bronzo, che “racconta” quello che è stato, probabilmente, uno dei primi interventi di neurochirurgia della storia dell’umanità.
A pochi chilometri dal paese, in Contrada Stretto, l’area archeologica dove sono state ritrovate diverse tombe a grotticella che testimoniano un insediamento preistorico risalente al Neolitico; qui, è stato rinvenuto anche un sistema di profondi fossati, molto particolare, che ha fatto meritare a Partanna il “titolo” di Città della civiltà dei fossati. Sempre in Contrada Stretto, sono state recuperate numerose ceramiche risalenti all’Età del Bronzo, oggi custodite nel museo “Salinas” di Palermo. Pronti per la vostra passeggiata nella Preistoria, circondati dalla bellezza di un paesaggio che coccola lo sguardo?

SALEMI. Il bel Castello svevo-normanno che la domina, testimonia l’influenza araba e offre ai visitatori un’occasione unica per immergersi nell’atmosfera del tempo e per ammirare il paesaggio mozzafiato che lo circonda.
Una visita doverosa merita, nell’ex Collegio dei Gesuiti, anche il Museo della mafia inaugurato in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia e dedicato a Leonardo Sciascia. Il percorso, di grande effetto, con installazioni, opere, documenti e interviste, si articola in undici sale. L’allestimento è caratterizzato da dieci cabine elettorali e ognuna racconta una pagina della storia criminale di cosa nostra. Le stragi, il rapporto con la religione, le intimidazioni mafiose, le infiltrazioni nella gestione dell’acqua e dell’energia, il carcere, il ruolo della famiglia, la politica, l’informazione, la sanità. Un’apposita sala è dedicata a “Palermo felicissima”, un evidente eufemismo visto che si rievoca il sacco di Palermo con la riproduzione di un abuso edilizio con tanto di morto ammazzato infilato in un pilone di cemento armato. C’è anche la “Sala delle pale eoliche” che hanno invaso, devastandolo, il territorio.
Un approfondito ripasso sugli ultimi centocinquant’anni di mafia, cui fa da contrappunto l’attività dell’Officina della Legalità avviata, sempre nella stessa struttura, nel 2016.

SALEMI. Il bel Castello svevo-normanno che la domina, testimonia l’influenza araba e offre ai visitatori un’occasione unica per immergersi nell’atmosfera del tempo e per ammirare il paesaggio mozzafiato che lo circonda.
Una visita doverosa merita, nell’ex Collegio dei Gesuiti, anche il Museo della mafia inaugurato in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia e dedicato a Leonardo Sciascia. Il percorso, di grande effetto, con installazioni, opere, documenti e interviste, si articola in undici sale. L’allestimento è caratterizzato da dieci cabine elettorali e ognuna racconta una pagina della storia criminale di cosa nostra. Le stragi, il rapporto con la religione, le intimidazioni mafiose, le infiltrazioni nella gestione dell’acqua e dell’energia, il carcere, il ruolo della famiglia, la politica, l’informazione, la sanità. Un’apposita sala è dedicata a “Palermo felicissima”, un evidente eufemismo visto che si rievoca il sacco di Palermo con la riproduzione di un abuso edilizio con tanto di morto ammazzato infilato in un pilone di cemento armato. C’è anche la “Sala delle pale eoliche” che hanno invaso, devastandolo, il territorio.
Un approfondito ripasso sugli ultimi centocinquant’anni di mafia, cui fa da contrappunto l’attività dell’Officina della Legalità avviata, sempre nella stessa struttura, nel 2016.

SANTA NINFA. A fondare il paese, nel 1609, fu il palermitano Luigi Arias Giardina che le diede il nome della veneratissima Santa Ninfa, eletta patrona di Palermo insieme con le sante Oliva e Agata.
Oggi, tra i tesori recuperati dopo il terremoto del ’68, c’è la Chiesa del Purgatorio a pianta centrale a croce greca, che risale al tempo della fondazione del paese e che inizialmente era intitolata a Sant’Orsola, dal nome della figlia del marchese Giardina. L’elemento architettonico dominante è la grande cupola centrale che tramite grandi archi a tutto sesto scarica su quattro piloni simmetrici.

CASTELVETRANO. Dominata dal Palazzo dei Principi Tagliavia Aragona Pignatelli, un tempo un vero e proprio castello, dove oggi ha sede il municipio, la città conobbe il suo massimo splendore tra il XV e il XVI secolo, periodo al quale risale la maggior parte dei suoi tesori più preziosi. Assolutamente da visitare la Chiesa di San Domenico, la preferita dai nobili dell’epoca e uno degli esempi più significativi del manierismo siciliano alla vigilia del barocco; tra i tesori che custodisce, il sarcofago marmoreo con l’effige di Ferdinando Tagliavia Aragona e una copia del celebre “Spasimo di Sicilia” di Raffaello, dipinta dal cremonese Giovanni Paolo Fondelli. Di fronte al Palazzo dei Principi, con il suo bel campanile troverete la Chiesa Madre intitolata a Santa Maria Assunta, prezioso scrigno di capolavori del Cinquecento e del Seicento, tra cui la pregevole statua di marmo della Madonna del Giglio della scuola di Gagini. Gioiello del Convento dei Cappuccini è, invece, l’imponente chiesa seicentesca con il suo bellissimo altare ligneo; tra i suoi tesori, lo speciale dipinto di Pietro Novelli successivamente restaurato da Fra’ Felice da Sambuca, che raffigura la Vergine con Santa Rosalia e San Rocco e che grazie all’utilizzo di un argano, rivela un prezioso reliquiario.

VITA. È per estensione il più piccolo comune del Trapanese e conserva tutto il fascino del Belìce. Il suo cuore più antico domina l’abitato con i ruderi muti testimoni del terremoto del ’68 e racconta la tragedia del sisma che ha distrutto gli emblemi della sua nascita, ovvero la Chiesa Madre e il Palazzo Baronale, voluti dal fondatore Sicomo.
Oggi, camminando senza fretta per le sue vie tranquille, potrete ammirare tra l’altro la restaurata Chiesa di San Francesco riaperta al culto alla fine del secolo scorso; qui, dopo la Battaglia di Calatafimi, furono curati molti soldati garibaldini; al suo interno, non perdetevi l’antica vara del Santissimo Crocifisso che insieme con il simulacro del patrono San Vito, viene portata in processione la prima domenica di settembre.

CALATAFIMI SEGESTA. Fiore all’occhiello di questo territorio magico è senza dubbio il Parco archeologico di Segesta, dove recentemente gli archeologi dell’università di Ginevra che stanno conducendo una campagna di scavi nell’area dell’acropoli, hanno portato alla luce una bellissima pavimentazione policroma che presumibilmente apparteneva all’importante archivio dell’antica Segesta. Da poco riaperto al pubblico l’imponente tempio dorico-siceliota costruito tra il 430 e il 420 avanti Cristo. Del parco fa parte anche il suggestivo teatro antico tuttora in uso.
E dagli Elimi all’unità d’Italia: il Museo di Garibaldi, un tempo casa del parroco Antonino Pampalone di provata fede liberale, ospitò l’Eroe dei Due Mondi sia il 16 maggio 1860, alla fine della celebre battaglia combattuta il giorno prima, che due anni dopo, quando tornò per onorarne i caduti. Nella ricostruzione con arredi d’epoca, sono esposti fucili, sciabole e vari cimeli dei soldati impegnati nella battaglia contro i Borboni, che ebbe luogo dove oggi sorge l’Ossario di Pianto Romano. Un monumento fortemente simbolico ai caduti di entrambi gli schieramenti, un monito contro tutte le guerre costruito su progetto di Ernesto Basile; alto trenta metri, ha forma di obelisco e al suo interno si può apprezzare il plastico che riproduce lo sbarco dei mille a Marsala e la battaglia di Calatafimi.

SCIACCA. A dominare l’abitato, sono i suggestivi ruderi del Castello Luna, a cui è legato il famoso “Caso di Sciacca”, una sanguinosa e secolare faida tra catalani e normanni scoppiata per “amore” e condita, ovviamente, da interessi economici e politici; una lunga sequenza di rappresaglie, in cui a perdere fu soprattutto la città che passò dai circa trentacinquemila abitanti del 1459, agli appena novemila del 1529. Del castello edificato nel 1380 dal conte di Caltabellotta, Guglielmo Peralta, uno dei quattro vicari del Regno di Sicilia dopo la morte di Federico III, oggi è visibile la base della struttura, parte delle antiche mura perimetrali e una torre cilindrica a due piani: a distruggerlo, comunque, non fu la faida tra i Luna e i Perollo, ma il disastroso terremoto del 1740.

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